«Armando Testa è il sempiterno fanciullo creatore dei più stravaganti personaggi della pubblicità italiana. Dalla sua matita sono nati elefanti dalla proboscide fatta di pneumatici, galline dal piumaggio tipografico (1965) bruchi allarmati (1974) con un bullone per bocca.
La sapienza del lavoro intellettuale di Testa sta anche nel lasciare intravedere le suggestioni che hanno alimentato il suo atto creativo. Prendiamo ad esempio il manifesto per Borsalino del 1954. In esso distinguiamo tre elementi importanti: la resa fotografica del cappello che come suggerisce Giorgio Verzotti deriva dal concettualismo di Joseph Kosuth. In che modo? Mostrare scientificamente l’oggetto-soggetto dell’artefatto, isolarlo al piano superiore della pagina ed esporlo all’analisi.
La figura umana resa con un potente richiamo al pointellisme di Seurat, si compone granulosa insieme al cappello. Ma quanto è diverso quel cappello dall’altro!
Adesso ha una natura quasi più reale, non vive di astrazione perché si trova tra le mani dell’uomo e una cosa per le mani è sempre più reale.
Il logotipo, l’elemento tipografico, la parola – che qui completa la citazione di Kosuth – che fai di quello non un cappello qualsiasi ma il cappello… il cappello che non può che essere Borsalino!
La genialità di Armando Testa ha dunque sempre avuto come nutrimento imprescindibile l’arte e la banalità del quotidiano.
Attento osservatore del mondo, tutti i suoi progetti sono frutto di una profonda analisi del circostante e di un divertente lavoro di bricolage che unisce immagini del fantastico con elementi della vita reale. Ogni suo progetto è un cortocircuito visivo ed in questo risiede la capacità di persistere nella memoria di artefatti comunicativi che con una semplice grammatica visiva hanno saputo ricreare l’immaginario collettivo di intere generazioni».
Giorgia Di Carlo, cultore di grafica editoriale, Accademia di Belle Arti, Catania.
